Qui Nuova York vi parla Davide Ippolito. Ci ho provato, come provo a fare quasi sempre, a non dire la mia sul tema del momento. La rovina dei nostri tempi, avere un’opinione per forza su qualsiasi cosa, seguire i trend alla ricerca di like e condivisioni. Eppure, la vicenda del momento sul “caso Ferragni” è occasione troppo ghiotta per qualsiasi tipo di riflessione. Si presta a riflessioni sulla Reputazione, sul sogno americano o su qualsiasi argomento del quale chiunque scriva qualcosa. Una vicenda che riempie pagine e pagine di giornali Italiani.
Per chi fosse rimasto sconnesso dai social o non avesse letto un qualsiasi giornale italiano faccio un breve riassunto. L’antitrust ha sanzionato le società coinvolte nella campagna pubblicitaria della Balocco per pratiche commerciali scorrette avendo fatto intendere che ci fosse una somma data in beneficienza per ogni pandoro venduto, quando la cifra da dare in beneficienza era già stabilita dal principio. Sulla vicenda la Ferragni ha chiesto scusa e devoluto 1 milione di euro in beneficienza. Fine del riassunto. Fine anche di una storia che non è una storia, che è noiosa, che non meriterebbe neanche le poche righe di questo articolo di nicchia ma che invece ha monopolizzato totalmente il dibattito del nostro paese.
C’è una frase di Indro Montanelli che risuona con particolare acume nel contesto italiano:
“Quando un italiano vede passare una macchina di lusso, il suo primo stimolo non è averne una anche lui, ma tagliarle le gomme.”
Questa osservazione, benché aspra, tocca una verità scomoda sul rapporto che noi italiani abbiamo con il successo.
In Italia, sembra che ci sia una resistenza a riconoscere e celebrare il successo. Forse perché, in un certo senso, l’invidia è più facile da gestire della motivazione. È più semplice aspettare la caduta degli Dei, anziché cercare di elevarsi verso l’Olimpo. Questo atteggiamento ha un costo non solo a livello individuale ma anche collettivo. Se continuiamo a tagliare le gomme a chi procede, impediamo non solo il loro avanzamento, ma rallentiamo anche il progresso del paese.
Questa intolleranza nasce da una cultura distorta, che non solo tollera ma addirittura promuove il rovesciamento delle condizioni umane, purché ciò comporti la predazione del benessere altrui. È un pensiero che danneggia prima di tutto la propria condizione economica: credere che la ricchezza sia sostanzialmente immorale crea un’impasse che blocca qualsiasi tentativo di miglioramento economico.
Questa mentalità non favorisce l’attrazione di investimenti e incoraggia i più abbienti a spostare la propria ricchezza altrove, in luoghi dove verrà maggiormente apprezzata. Diventa improbabile che un investitore scelga di impiegare il proprio capitale in un paese che osserva con sospetto le iniziative commerciali di rilievo. E infine il tutto si ricollega al tema a me tanto caro del fallimento. Siamo un paese che non tollera il successo allo stesso modo in cui non tolleriamo il fallimento. Meglio non fare niente piuttosto che rischiare di sbagliare. Meglio non esporsi mai piuttosto di ritrovarsi immersi in una tale macchina del fango, meglio non dare mai un euro in beneficienza piuttosto che darne un milione e ritrovarsi vittime di una giuria popolare che non vedeva occasione migliore per sfogare le proprie frustrazioni.
Alla base del sogno americano c’è forse anche quello, L’abbattimento della paura del fallimento, il sapere che c’è sempre una seconda opportunità e che se un domani riuscirò ad avere una bella macchina potrò essere da modello, per quanto di buono ho fatto, nei confronti di altri, escludendo tutte le cose che non ho fatto bene.