Questione di prospettiva e di “lenti” con le quali si sceglie di leggere la realtà: “chi cerca trova” dice un vecchio proverbio e allora meglio cercare il buono piuttosto che focalizzarsi sul negativo, ritrovare il bicchiere mezzo pieno.
Non è un caso che negli Stati Uniti d’America creare un’azienda sia tanto semplice quanto chiuderla per sovraindebitamento: a seconda del soggetto richiedente e dell’impatto su tutti gli attori in causa, i percorsi legali e amministrativi sono tanti e diversi. Senza tra l’altro permettere al fallimento di diventare macchia indelebile nel curriculum vitae delle persone e delle aziende coinvolte.
Persino Donald Trump ci è passato non una ma ben quattro volte, perché spesso è proprio questa la soluzione finanziariamente preferibile per la sopravvivenza di un’azienda. Personalmente credo sia comunque importante non abusare degli strumenti di diritto fallimentare al di là loro della legittimità. Un numero massimo di “utilizzi” manderebbe un segnale forte: occorre far tesoro dell’esperienza vissuta, perché “errare è umano, perseverare è diabolico”.
Ovviamente anche negli States il processo fallimentare impatta sul rating finanziario degli interessati e il percorso è affidato a un giudice, seppur in maniera “semi-automatica”. La preparazione dei documenti e delle istanze finisce per essere la vera sostanza del procedimento. Al richiedente viene preclusa più o meno direttamente l’accesso a una serie di strumenti e funzioni, ma per un tempo molto limitato. Il focus rimane la ripartenza, la riorganizzazione che crea ricchezza e fa la differenza per sé stessi e per gli altri. La bancarotta viene così vissuta come un “quasi normale” incidente di percorso, all’interno di un tessuto imprenditoriale dove innovazione e sperimentazione sono spinte al massimo: “push the envelope” una vita professionale sull’orlo della comfort zone, per testare i limiti del possibile.
La metrica di riferimento è l’indice FICO (dalla società che lo aveva inventato: Fair, Isaac, and Co.) che analizza e computa le informazioni provenienti dalle tre grandi sorelle Experian, Equifax e TransUnion alle quali si è poi aggiunta una quarta, Dun & Bradstreet, specializzatasi ulteriormente nel settore delle organizzazioni societarie, fino a diventare oggi un servizio di analisi e valutazione che ogni azienda utilizza per se stessa e i propri stakeholder.
Ci sono industrie e settori, da ricerca a start-up, che si fondano su una più alta gestione del rischio alimentato da una massiccia dose di creatività, intuito, idee e casualità. Anche in campo manageriale , però, diventa sempre più importante analizzare la risposta dell’individuo ai fallimenti, alle difficoltà e agli imprevisti. È proprio lì che si misura il calibro di una persona, guardando a come gestisce, comunica e si relaziona con gli altri durante le fasi di criticità. Sempre più di frequente i protocolli di valutazione degli head-hunters manageriali e dei dipartimenti HR contengono esercizi e valutazioni in tal senso: “there is no gain without pain”, sbagliando si impara.
Altri modi di dire e proverbi e non è un caso: è bene ricordare che le dinamiche della vita (anche aziendale), in fin dei conti, sono sempre quelle si ritrovano nella saggezza popolare, dei nostri avi.. Alla luce anche di questo, dovrebbe essere più semplice accettare il fatto che il fallimento è connaturato alla condizione umana e aziendale. Diventa anzi importantissima fonte di crescita e conoscenza. Forse oggi tutto è molto (troppo) impostato sul contenimento del rischio – cosa giusta per certi versi – e si ignora il valore formativo connesso al manifestarsi delle criticità. Persino a scuola tutto è molto più schematizzato di prima. Dovremmo tutti riscoprire il valore pedagogico delle opere dei grandi della formazione di base, da Maria Montessori a Rudolf Steiner: provare per credere!