In Usa arriva in sala il 12 aprile, il 18 in Italia, distribuito da 01 Distribution. Civil War è il nuovo inquietantissimo film del britannico Alex Garland, regista amante delle distopie già noto per il controverso Ex Machina (2014) e come sceneggiatore di Non lasciarmi (Never Let Me Go, 2010) tratto dal bellissimo romanzo del Nobel per la letteratura Kazuo Ishiguro.
Prodotto dall’indipendente A24 con un budget di 50 milioni di dollari (che ne fa il più costoso film indie della storia) Civil War è una pellicola distopica al cardiopalma, che ha già fatto molto discutere e, ve l’assicuro, vi farà letteralmente saltare sulle vostre poltrone.
Con un cast di tutto rispetto, che vede protagoniste Kirsten Dunst e Cailee Spaeny (già interprete del biopic Priscilla) insieme a Wagner Moura e Stephen McKinley Henderson (con un cammeo di Jessy Plemons), racconta la possibile realtà di una odierna guerra civile che ha scompaginato gli Stati Uniti, dividendoli in gruppi di Stati che si combattono tra loro. Da una parte i secessionisti Stati dell’Ovest sono in marcia verso Washington per catturare il Presidente, dall’altra ci sono le forze lealiste che lo difendono, e nel contorno ribelli, sbandati, popolazione civile in fuga, cadaveri, distruzione e caos.
In questo scenario, ripeto, ambientato in quella che potrebbe essere l’America di oggi, seguiamo un gruppo di reporter impegnati in prima linea nelle zone più calde. La celebre fotoreporter Lee (Dunst) esperta e disincantata e il suo collega Joel (Moura) inviato Reuters, si uniranno quasi per caso a un anziano corrispondente del New York Times (McKinley) e a una giovanissima aspirante fotografa (Spaeny) per raggiungere in macchina la Casa Bianca battendo sul tempo i colleghi delle testate competitors.
Il film è dunque una sorta di road movie che attraversa l’America e gli orrori della guerra, tra civili giustizialisti, azioni di guerriglia, fosse comuni e fiere campagnole in abbandono, per condurre i suoi protagonisti verso un epilogo agghiacciante che non spoileriamo, ma che farà riflettere (tanto più a pochi mesi dalle nuove elezioni presidenziali).
Il regista Garland raccontava al Guardian di aver iniziato a lavorare a Civil War intorno al 2018, anno che ha visto i Paesi anglofoni dibattere le politiche relative alla presidenza Trump e alla Brexit «sentendosi sorpreso dal fatto che non ci fosse più disobbedienza civile». E sottolineava: «Se dimentichiamo la storia, siamo condannati a ripeterla. Nessun Paese ne è immune, nemmeno gli USA».
Civil War può essere interpretato dunque come una sorta di monito, una critica graffiante ed estremamente realistica all’insensatezza e alla crudeltà delle guerre, tanto più spaventose quando ad ospitarle è casa nostra e non qualche lontano Paese da commentare leggendo le news. E in qualche modo pone l’accento anche sulle responsabilità dei reporter che ce le raccontano e che molto spesso mettono a rischio la propria vita (eroi o incoscienti?), interrogandosi sul limite sottile che intercorre tra la missione professionale e l’inevitabile cinismo che accompagna ogni scoop.