Ecco un libro imperdibile, che però non viene pubblicato dagli editori italiani, suicidati dai blockbuster che hanno già massacrato il cinema e quasi tutte le libere espressioni non solo d’arte. Eppure in Italia – come in Francia – il caos del traffico regna sovrano, e mancano strumenti culturali e tecnici per migliorare la vita dei residenti anche da parte di chi si definisce un tutore dell’ambiente e della natura.
Così chi può contestare le piste ciclabili in corso Sempione a Milano o chiedere il ritorno delle botteghe e dei panettieri, sbattuti in periferie megalitiche ma irraggiungibili, mentre il centro, dove da decenni è stato scacciato il sottoproletariato che vi viveva, ora vede la fuga della borghesia che vi abitava dopo gli ultimi fuochi d’artificio dell’aristocrazia proustiana? Il centro storico resta in mano dei souvenir de Paris, delle paninoteche e di restaurants che si sono autodegradati a mense turistiche dove una catena fordistica di montaggio ingozza e poi espelle gli esausti turistoidi (altro che Grand Tour, qui le persone si riducono a zombie del “Ci sono stato”, eroi di milioni di chilometri percorsi su migliaia di pullman, prima di essere menati al pascolo di Montmartre o verso la spianata Michelangelo di Firenze da guide megafonate e sormontate da bandierine.
Cose che in Italia capitano un po’ dappertutto, e di cui le persone sono interessate fino allo spasimo, perché se hai un bambino e devi portarlo a scuola, allora ti trovi in una situazione abitativa deludente persino se abiti vicino a Place de la Concorde o in via di Ripetta, se una pista ciclabile ha ristretto le corsie stradali e tutto è diventato un “Ingorgo”, come nell’omonimo e profetico film di Luigi Comencini.
Isole una volta felici come le Cinque Terre sono schiacciate da cataste di turisti, in coda dentro le gallerie di stazioni microscopiche, mentre il mar ligure diventa una parentesi blu quando si cammina in coda sotto un sole omicida prima di tornare -sempre in lunghe file sovietiche- a La Spezia o Sestri Levante, dove ci sono gli hotel.
Tutti si lamentano per la gentrificazione (svuotamento dei centri storici) e per un iperturismo che non è più amato come alternativa alle fabbriche e alle nuove attività produttive ipertech neanche dagli ambientalisti più salottieri e ideologici. Eppure quasi nessuno fa niente, perché la lobby di chi ci guadagna (proprietari di ristoranti, bar, hotel, souvenir) è potente. I turistifici delle piccole e medie città italiane creano infatti una classe sociale peggiore del capitalismo ottocentesco, e peggiore delle società piramidali dei faraoni, dato che gli operatori turistici sono circa il 2% della popolazione, mentre gli altri residenti ci rimettono tutti, a partire dai giovani laureati in fisica nucleare che dalla Liguria finiscono a Londra o a Los Angeles, dato che non si può fare il barista a vita. I residenti pagano di più tutto: case, servizi, cibo e trasporti.
A questo disastro nascosto sotto il tappeto dagli starnazzatori politici, ma evidente a tutti, si aggiunge l’enciclopedia del “Miglioriamo la mobilità urbana”, che riguarda l’obbligo di elettrificare le auto e di creare piste ciclabili, con i colossali errori di cui scrive Benoît Duteurtre, autore de Le dents de la maire (doppio senso per i “denti della sindaca” e per “i denti della squala”).
Parliamo di un saggio edito nel 2020 e pubblicato con successo in Francia (che ha già avuto una eco giornalistica – ma non editoriale – in Italia). La “sindaca” è l’attuale sindaca di Parigi Anne Hidalgo, epifania di un socialcomunismo francese ormai defunto.
Il testo è di grande attualità, anche in vista delle prossime Olimpiadi di Parigi che acuiranno l’evidenza di una città già distorta da Disneyland Europa, per cui il Louvre è diventato la parentesi di un tour de force urbano che consiste in bus/metrò/ristoranti/tour Eiffel/un museo/un ristorante/Disneyland/e ritorno a casa.
Per Duteurtre l’insostenibile traffico urbano è tale perché è stato sovralimentato da politiche pro “mobilità sostenibile”, ed è questo il paradosso su cui si sviluppa il testo.
Parliamo di aria malsana già nella prima pagina del libro: “
Ieri Vera al telefono mi ha chiesto se conoscessi uno specialista di problemi respiratori. Tossiva dal giorno prima, in continuazione, come ogni volta che la città raggiunge uno di quei “picchi di inquinamento” il cui numero non varia molto, malgrado il programma municipale per contrastarli. Per quanto mi riguarda, essendo poco sensibile ai danni atmosferici e capace di sopravvivere sotto il tubo di scarico di un’auto, non avevo alcun suggerimento da proporle, se non quello di ricorrere a medico nostro amico. Poi sono andato a passeggiare sotto il cielo blu invernale. Uscendo dal palazzo, ho trovato nella cassetta delle lettere un bollettino comunale intitolato trionfalmente:
“Parigi respira”
Ho sorriso amaramente mentre pensavo che se Parigi respirava, Vera, da parte sua, non respirava più a Parigi. Nella mia via, le vetture si trascinano una dietro l’altra. I motori fanno le fusa. Bloccato nell’ingorgo, un veicolo della polizia ha attivato la sirena e sono stato costretto a tapparmi le orecchie aspettando che passasse oltre. Non si era mai visto un traffico così intenso in questa zona, almeno finora, quando i lavori per trasformare le arterie principali in piste ciclabili congestionano il traffico ovunque, e dirottano altrove gli autisti alla ricerca di una via d’uscita. L’aria era mefitica, la giornata cominciava male. In cerca di sicurezza, ho guardato di nuovo l’opuscolo e il suo titolo: Parigi respira. Probabilmente riassumeva un’intenzione piuttosto che una realtà: “(Presto diremo che) Parigi respira”. Per il momento, dovevo armarmi di pazienza e fidarmi delle autorità nell’attesa che un giorno Parigi possa veramente respirare.
*
Questa mattina nella strada non c’era il solito ingorgo. Ma, girato l’angolo nell’intento di sbrigare delle commissioni, ho rischiato di farmi investire da un monopattino che arrivava alla mia destra a tutta velocità e in un silenzio assoluto. In piedi davanti al manubrio, cuffie sulle orecchie, il conducente sembrava indifferente ai passanti, o forse trovava divertente il fatto di sfiorarli. Era già lontano quando ho alzato il pugno gridando: – Teppista! Lo sai che è vietato passare sui marciapiedi?
Stavo cominciando a calmarmi riprendendo il cammino, quando il suono di un campanello, alla mia sinistra, mi ha fatto sussultare. Un ciclista apparso all’improvviso mi ha gettato uno sguardo furioso imprecando a sua volta: – Attenzione, coglione, è una pista ciclabile! (…) All’incrocio seguente, alzando la testa verso un pannello affisso, ho letto questo slogan scritto a lettere luminose:
“Parigi incoraggia la mobilità dolce”
Le culture ambientaliste e progressiste hanno combattuto per la mobilità dolce, creando soluzioni a volte troppo piene di saccarina e auto-entusiasmo. Sono nate giustamente molte piste ciclabili che però, data la conformazione dei centri storici europei, si sono delineate con percorsi frattali, posteggi blocca-traffico, alberi piantati nell’asfalto senza spazio per aerare le radici. Eppure gli alberi sarebbero in grado di dimezzare la temperatura estiva al suolo e sulle pareti delle case, a patto di utilizzare specie a foglia decidua, che d’inverno perdano le foglie e diano luce e sole, il che purtroppo non viene quasi mai fatto dalla classe politica né raccomandato dagli ambientalisti.
Anche nella zona downtown di New York non cambia molto, nonostante la bella soluzione della High line di Manhattan, ora pedonale e dagli anni ’30 ferrovia sopraelevata. New York city resta quindi la città col peggiore traffico degli Stati Uniti e la quinta al mondo per ingorghi automobilistici.
A Genova si farà un tunnel stradale sotto l’acqua del porto, ma la sopraelevata che fiancheggia il mare resterà ineliminabile.
Poi ci sono i pedoni martirizzati da marciapiedi ridotti a sentieri lillipuziani su cui si cammina tra pattini, monopattini e piste ciclabili. In aggiunta a ciò le forze che hanno lottato per la globalizzazione e delocalizzazione delle industrie, si sono limitate in molte città a sostituire le industrie con la fabbrica del turismo. La crisi internazionale ha poi dimostrato che delocalizzare prodotti primari come gli agroalimentari, l’acciaio etc. non è sempre la scelta migliore.
Il turismo – nella sua forma turbo – ha trasformato il territorio in fabbrica, con pesanti aggravi per l’ambiente urbano e per quello extraurbano. Ciò vale per le piccole città programmate per il turismo di mare o montagna, così come per le città d’arte.
La prima fonte di turismo a Genova è l’Acquario col Porto Antico riprogettato da Renzo Piano, già artefice del Centre Georges Pompidou a Parigi, costruito sulle ceneri del mercato delle Halles.
Strade urbane con limite ai 30 Kmh.
Buona idea, ma declinandola male produce rallentamenti e ingorghi, cioé maggiore inquinamento e consumo di carburanti e una minore qualità della vita urbana.
Al contrario negli anni ’90 del Novecento, nella Svizzera dove il limite dei 30Kmh fu applicato già allora, la differenza rispetto all’applicazione della stessa normativa in Italia come a Parigi fu radicale. La regola svizzera infatti imponeva sì un deciso limite di velocità, ma a patto che venissero aboliti tutti gli ostacoli che producevano degli stop: semafori, incroci complicati, passaggi pedonali senza sottopassaggi etc.
I denti della Sindaca
“I denti della sindaca” va inserito in un filone di grande tradizione in Francia: il racconto satirico a metà tra saggistica e letteratura. Citiamo il Candido di Voltaire, ma potremmo aggiungere molti altri testi.
Dal punto di vista dell’utilità di queste riflessioni per i così detti “cittadini” (termine che oggi sembra desueto, sarebbe forse preferibile “bipedi a bassa capacità di mobilità”, dato che il trasporto, come insegnava il grande urbanista francese Paul Virilio, è la cultura e la politica attuale: tutto è diventato movimento veloce, anche quando si sta fermi e si guarda un documentario sulla Nuova Zelanda. Dare nuove idee per le città è fondamentale per le università (architettura, urbanistica, ingegneria), alla miriade di assessori all’urbanistica, sindaci e politici. Parliamo dei professionisti che tracciano e realizzano strade e palazzi, ma che non mettono i tombini a livello quando spendono soldi per riasfaltare.
A questo proposito sarebbe opportuno, con l’approvazione dell’autore, integrare l’edizione francese con riferimenti al contesto italiano, qualora ci fosse un editore dal fiuto acuto, almeno uno.
(La traduttrice Rita Mantegari ha curato le informazioni per la redazione dell’articolo e ha tradotto il testo dal francese)
Le dents de la maire
Benoît Duteurtre ha pubblicato per le case editrici Gallimard, Grasset e Fayard.
Lunghezza pagine: 178;
Editore: Fayard;
Anno della prima edizione: 2020.