Marta Galfetti: la mia New York tra sogni, sfide e storie da raccontare

Marta è una content creator e influencer – o, come preferisce definirsi lei, una “Storyteller”. Vive a New York dal 2010 e, da diversi anni, racconta la sua vita attraverso NYPicsAndTips.com, un blog che raccoglie praticamente tutto quello che c’è da sapere sulla Grande Mela. L’abbiamo intervistata per farci dire di più della sua esperienza del suo sogno americano realizzato.

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Quando sei arrivata qui a New York? Perché sei arrivata qui? E quali sono state le difficoltà che hai incontrato?

“Allora, sono arrivata nel 2010 seguendo mio marito. Quindi in realtà è stato lui che ci ha portati qua. Lavora alle Nazioni Unite. Quindi io ho seguito quello che è stato il suo lavoro, la sua opportunità. Non senza difficoltà, nel senso che ai tempi lavoravo… Io sono laureata in Psicologia della Comunicazione. Ho studiato in Cattolica. Sono nata e cresciuta a Como. E poi ho studiato all’università a Milano. E lavoravo ai tempi a Milano. Avevo la mia bella vita, serena, fatta di mie prime esperienze lavorative. Tra l’altro in un centro media dove mi trovavo anche molto bene. E quindi è stato un po’ un trauma il trasferimento. Non sono una di quelle che aveva New York nel cuore, che doveva per forza andarsene, anzi. E all’inizio ho lavorato un po’ nello stesso centro media, che aveva una sede qua, però lavorava un po’ per l’Italia, vabbè così. Esperimenti. Finché ho smesso di lavorare in ufficio e ho aperto questa pagina Instagram. Che oggi si chiama New York City Pics & Tips. Che è nata con l’idea di scrivere un mio diario personale. Perché i primi anni per me qua sono stati difficili. Non lo nego mai, non lo nascondo mai. Anzi, più ne parlo e più ho incontrato persone che comunque hanno avuto esperienze simili. Soprattutto chi effettivamente, come me, magari è venuto non proprio per scelta propria, ma seguendo le decisioni un po’ della famiglia. Quindi ho fatto fatica. Non mi vergogno. Per me, per vivere qua, è veramente come buttarsi. Essere curiosi, yes man, avere veramente l’atteggiamento di apertura, di sperimentare. E io non ce l’avevo all’inizio, proprio non ce l’avevo.”

Un momento molto duro di quando hai reagito?

“Ma un momento specifico forse non te lo so molto dire. Quello che ho patito era un po’ il contesto sociale. Cioè ho fatto veramente fatica all’inizio a conoscere gente, trasferendosi comunque già come coppia, è diverso dal trasferirsi da solo. Non c’erano i social, o comunque iniziavano ad esserci, ma nel 2010 non c’era Instagram. E per cui ho sofferto un po’ l’isolamento. Paradossalmente, perché io sono una che poi fa amicizia facilmente. Però ecco, quello è stato un po’ l’aspetto più difficile.”

E quindi hai aperto la pagina, come ti è venuta l’idea di aprire la pagina? Con che spirito?

“Lo spirito è quello che credo sia un pochettino rimasto oggi. Ed è veramente quello di scrivere il mio diario, di raccontare le mie giornate. Comunque New York è un brand, è una cosa che funziona, che interessa, soprattutto in Italia. Per cui effettivamente c’era curiosità: le mie amiche, che banalmente, mi chiedevano sempre cosa facessi tutto il giorno. Ve lo racconto. Ho sempre cercato, e tuttora è così, di fare in modo che il protagonista della pagina non fossi io ma la città. Per cui in realtà lascio un po’ che sia la città a presentarsi. E quindi lo scopo è un po’ quello, raccontare il mio diario e effettivamente creare comunque dei contatti, delle opportunità di conoscere persone. E devo dire su questo fronte sono iper soddisfatta perché mi ha cambiato tanto il modo di stare a New York.”

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E quando è che hai visto che da progetto più o meno privato comunque suscitava parecchio interesse?

“Allora, gli anni del Covid sicuramente sono stati un po’ decisivi, chiamarla svolta è una parola grossa, però effettivamente è stato un momento un po’ di cambiamento, perché comunque eravamo rimasti qua in pochissimi, non che io non mi attribuisca altri meriti, però effettivamente c’era tanto interesse anche nel vedere cosa succedeva fuori e poi tutti eravamo a casa attaccati a questi telefoni, per cui effettivamente anche lì poi ho raccontato il Covid a modo mio. Nel senso che avevo talmente paura di uscire, anche se qua potevamo, che col senno di poi un po’ ho il rimpianto di non averlo raccontato abbastanza. Però sì, forse quello è stato un po’ un momento di nuovo.”

Diciamo che tutti quelli che fanno content creator si fanno un po’ guidare dall’Algoritmo e, quindi, creano e cambiano il loro modo di raccontare le cose a seconda di ciò che viene premiato di più dall’Algoritmo. Tu sei sempre un fedele al tuo modo di raccontare?

“Sì, sbagliando probabilmente. Tutto quello che faccio è molto spontaneo e vorrei veramente riuscire a mantenerla questa cosa. Non ho mai avuto obiettivi numerici, di crescita numerica, che è quello che poi ti fa sottostare le regole dell’Algoritmo banalmente. Poi non ti nego, chiaro, cioè non è che mi faccia schifo fare bei numeri, però non è il mio obiettivo. E quindi faccio quello che credo di saper fare meglio: so fare meglio le foto dei video. Perché devo farvi sti reel che non piacciono a nessuno e che non piacciono a me? Faccio una fatica incredibile, poi li faccio ogni tanto, però perché? Per l’Algoritmo? No. E quindi mi sono sempre tenuta un po’ su questa forma del diario, un po’ da boomer forse. Però alla fine è quello che mi rispecchia di più.”

La cosa che ti differenzia un po’ da altri che fanno qualcosa di simile è il fatto che tu è un pò come se dessi consigli da insider, cioè non consigli turistici. Quali sono le cose che ti chiedono di più le persone?

“Effettivamente sono abbastanza consapevole di rivolgermi comunque non al mainstream. Parlo tanto di questo mini progetto avviato sui libri ambientati a New York, parlo di musei, cioè delle cose che interessano a me, quindi. Comunque ricevo tante richieste. Sì, in realtà ho fatto sempre a modo mio, quindi non c’è un progetto chiaro, però ogni tanto pubblico dei libri ambientati a New York. Ecco, quella è una cosa che vorrei sviluppare un po’ meglio. Però per esempio parlo di libri, parlo di musei, parlo di quelli che sono i miei interessi e effettivamente le domande che ricevo sono un po’ di quel pubblico interessato alle stesse mie cose.

Altrimenti generalmente cosa fare a New York, magari appunto io mostro spesso anche quartieri meno turistici, quindi Greenpoint, Tribeca che sono anche tra le mie zone preferite. Zone di Central Park meno battute, quindi ecco, magari domande su cose da fare non super turistiche: questa è la domanda più frequente.

Vai a vedere mai i dati di quali sono i posti più visti e le cose che interessano di più o continui ad andare avanti?

“Poco.”

Quali pensi che siano le cose, cioè quali vedi che sono le cose che piacciono di più?

“Quello che mi piace meno scrivere… no vabbè comunque è vero, alla fine una foto bella dell’Empire State Building è sempre una foto dell’Empire, cioè comunque la gente lo riconosce, ha qualcosa da dire perché l’ha visto, perché crea più vicinanza, no? Invece magari quando parlo di una cosa un po’ più di nicchia nella nicchia, che a me sembra di aver fatto super contenuto, magari vanno  di meno.”

La richiesta più strana o l’aneddoto più particolare che ti è capitato?

“Non lo so, non mi viene, devo pensarci. In generale ho un target molto gentile, educato, cordiale, quindi in realtà non ho cose proprio strane, mai, ho creato tantissimi rapporti che escono dai social, che è poi uno delle mie obiettivi, quindi non ti so tanto rispondere, domanda troppo difficile.”

I tuoi tre posti di New York?

“Allora, sicuramente Seaport. Quando cerco un posto dove stare un po’ con i miei pensieri, vado sicuramente sull’acqua, che per me che sono cresciuta sul Lago di  Como è un po’ l’habitat naturale, quindi Seaport anche perché è rimasto uno dei quartieri storici comunque della città. Per un motivo simile ti potrei dire Tribeca, che secondo me è esteticamente il quartiere più bello di New York, di nuovo poco gettonato magari, anche poco turistico e dove ogni volta che vado riesco veramente a scoprire delle cose nuove. Perché dopo tanti anni New York non è così scontato. E il terzo posto direi Greenpoint, a Brooklyn, che è anche un posto, per me che sono una persona molto curiosa,  dove mi piace proprio curiosare, girare a caso, scoprire posti nuovi. Sono motivazioni un po’ simili se vuoi, però ecco, questi sono i miei tre quartieri.”

I consigli per chi vive a New York e non la vive appieno.

“Essere curiosi, sempre. Sperimentarsi, uscire dal proprio quartiere. Poi mi rendo conto che ovviamente io ho la possibilità di farlo quotidianamente perché mi invento le mie giornate in funzione di quello che voglio raccontare. Giustamente se hai un lavoro, una famiglia che ti vincola comunque a quegli  impegni quotidiani lì, non è che poi hai tutte queste possibilità. Però è veramente un peccato non sfruttare la città perché oggettivamente è una città unica al mondo. Quindi curiosità tantissima, sempre. E poi, questo però più per chi si è appena trasferito: non aver paura di perdere l’autenticità italiana. Cioè lasciarsi anche un po’ andare questo bagaglio di essere italiani, di portarsi il cibo dall’Italia. Anch’io mi porto ancora i biscotti. Però veramente è un’occasione anche per immergersi in altre culture. Anche solo confrontarsi. Non lo so, forse perché per me è stata una cosa faticosa all’inizio. Io sentivo che dovevo restare italiana. Ma anche lasciarsi andare va bene. Tanto italiani lo restiamo lo stesso. Non ce lo porta via nessuno.”

Cosa ti manca dell’Italia? 

“Ovviamente la famiglia… Alla fine dopo anni in realtà mi manca sempre meno dell’Italia, brutto da dire. Però ho molto interiorizzato le mie cose importanti. E me le riesco a portare adesso, quando torno qua. Sono abbastanza serena su questo. Ma ho fatto veramente tanta fatica all’inizio. Prima mi mancava tutto, tutto, tutto. Adesso mi manca poco. Mi mancano gli affetti. Questo sempre.”

Tuoi progetti futuri?

“Ho un sacco di idee. Poi che diventino progetti lo staremo a vedere. Però sì, c’è una mostra di fotografie che mi sta girando in testa parecchio. Quindi è una cosa a cui sto anche un pochino lavorando.

E poi mi piacerebbe di più sviluppare, appunto, questa cosa che ti dicevo dei libri ambientati a New York. Io leggo tantissimo. Non solo di New York, però portare avanti un po’ questa cosa qua, più letteraria, se vuoi, mii piacerebbe.”

Qual è il libro più bello ambientato a New York?

“Io sono super affezionata a New York, di Rutherford. Che è un po’ la Bibbia, me l’ha regalata mia mamma. Quindi ha anche un valore un po’ sentimentale. È la storia di New York, dalla creazione della città fino agli attentati dell’11 settembre. È una specie di saga familiare, ma in realtà la protagonista è la città. Per cui, praticamente dalla fondazione, dagli indiani, la storia della città che si intreccia. Poi la storia degli Stati Uniti. È una base bellissima, secondo me, proprio per capire la città, per capire come è strutturata anche oggi.”

Dove ti vedi o come ti vedi tra cinque anni?

“Io mi vedo qua, a fare cose simili a quelle che sto facendo. Magari un po’ più strutturate, forse. Però sì, non vedo stravolgimenti grossi da qua a cinque anni. Sono abbastanza contenta di come sto oggi. Insomma, spero di proseguire così.”

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