Secondo il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) non esiste una categoria clinica chiamata “dipendenza da smartphone”. È vero: molti comportamenti legati all’uso eccessivo del cellulare possono ricordare quelli delle dipendenze (come la perdita di controllo o una sorta di “astinenza”), ma questo non basta a classificare il fenomeno come una patologia, per questo se ne fa menzione, all’interno del manuale, solo nella sezione tre, in cui sono presenti i disturbi che richiedono ulteriori ricerche.
L’equivoco della dipendenza
Passare anche 5 o 6 ore al giorno davanti allo schermo del telefono non significa necessariamente essere malati. Lo smartphone, con la sua rapidità, portabilità, accessibilità e discrezione, è diventato uno strumento potente e sempre presente nelle nostre vite. Ma non è lo strumento in sé a essere pericoloso: è l’uso che ne facciamo, e soprattutto il motivo per cui lo utilizziamo.
Chiariamo una cosa: lo smartphone come strumento in sè non causa la dipendenza. Piuttosto, è un mezzo attraverso cui si possono esprimere bisogni, fragilità, disagi personali o sociali. Paragonare l’uso intensivo del telefono alla dipendenza da droghe come l’eroina o il tabacco non è solo da dimostrare, ma potrebbe essere fuorviante e potenzialmente dannoso.
Parliamo di “uso problematico”, non di dipendenza
Invece di usare il termine “dipendenza”, molti esperti preferiscono parlare di uso problematico o disadattivo. È un’espressione più precisa, che evita di patologizzare comportamenti diffusi – e spesso temporanei – come il controllo ossessivo delle notifiche o il bisogno continuo di essere connessi.
Usare con troppa leggerezza il termine “dipendenza”, infatti, rischia di banalizzare le vere dipendenze, quelle riconosciute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che hanno un impatto profondo sulla salute fisica e mentale. Inoltre, può generare inutili allarmismi e scoraggiare risposte efficaci ai reali problemi che si nascondono dietro certi comportamenti.
Adolescenti e smartphone: un segnale, non il problema
È vero che, secondo alcune ricerche, circa un adolescente su dieci mostra segnali di uso problematico dello smartphone e dei social media. Questo non va ignorato. A monte, dunque, servono interventi educativi, soprattutto nelle scuole, per promuovere un uso consapevole del cellulare. Ma non possiamo affidarci solo a buona volontà o soluzioni improvvisate.
Troppo spesso, infatti, queste iniziative sono lasciate nelle mani di persone senza una preparazione scientifica adeguata. Sarebbe invece utile ascoltare di più la ricerca, che sottolinea come dietro l’uso eccessivo dello smartphone si nascondano spesso condizioni più profonde di conflitto tra soggetto e contesto, tra bisogni evolutivi e ambiente di crescita che possono sfociare in ansia, depressione, insicurezza, solitudine, mancanza di alternative significative.
Le risposte non stanno nel controllo, ma nel senso
Diversi studi indicano che aiutare i giovani a trovare uno scopo, un significato nella vita – come fa, ad esempio, il concetto giapponese di ikigai – può ridurre i comportamenti disfunzionali legati all’uso del telefono. In alcuni casi, il cellulare è una forma di coping, un modo per affrontare un disagio più ampio, una forma di risposta a un vuoto esistenziale o sociale.
Non si tratta quindi solo di “togliere il telefono” o limitarne l’uso. Si tratta piuttosto di offrire ai ragazzi strumenti interiori per gestire emozioni complesse, per trovare alternative sane e gratificanti, per sentirsi visti e ascoltati.
Più adulti, meno allarmi
Per affrontare davvero questo fenomeno, non servono né demonizzazioni né semplificazioni. Servono adulti presenti, consapevoli, capaci di accompagnare i più giovani in un percorso di crescita che li aiuti a diventare protagonisti della propria vita. Anche – e soprattutto – quando fisiologicamente sbagliano, proprio perché alla ricerca di una nuova rappresentazione di sé e dell’altro.
L’adolescenza è un’età fragile, spesso dolorosa. Ma non è il nemico. Non possiamo pensare di risolvere tutto con il controllo dei contenuti o con l’imposizione di limiti tecnologici. La vera sfida è più profonda: aiutare i ragazzi a costruire una relazione sana con sé stessi e con il mondo.
E per farlo, oggi più che mai, servono adulti disposti a esserlo davvero.
L’articolo Dipendenza da smartphone: siamo sicuri che sia una malattia? proviene da IlNewyorkese.